immagine Chiesa di Santa Maria Maddalena

Monumento, Storico

Chiesa di Santa Maria Maddalena

I lavori per l’edificazione della Chiesa di Santa Maria Maddalena iniziarono nel 1603, circa vent’anni dopo la riapertura del convento, complesso ben più ampio di cui fa parte la chiesa, e si conclusero non prima della fine del secolo. La struttura, inglobata nel complesso monastico omonimo, è interessante per la particolare forma ellissoidale della pianta, che sembra evocare le morbide aperture e chiusure dello spazio curvilineo ideato da Borromini per la chiesa romana di S. Maria dei Sette Dolori (1643-1646) dell’ordine claustrale delle Oblate Agostiniane.

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La suggestione borrominiana è rafforzata anche dalla presenza delle quattro porte laterali (dipinte a grottesche), dall’unico ordine di lesene e dalla forma ovale della cantoria. La comunità monastica del resto vantava rapporti consolidati fin dall’inizio del Seicento con i Padri Filippini del Convento romano di S. Filippo Neri, dove tra il 1637 ca. ed il 1660 ca. è attivo Borromini. Di particolare interesse sono gli arredi lignei, i cui ornamenti di elevata qualità artistica distinguono l’ambiente signorile del monastero. Un recente restauro ha restituito gli antichi materiali ed i colori originari attraverso l’eliminazione delle sovrastrutture accumulatesi nel corso dei secoli. La volta, scandita da decorazioni in stucco, è ornata al centro da un affresco (sec. XVIII) raffigurante S. Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli. Ai lati, entro medaglioni con cornice in stucco, sono gli Evangelisti. Il dipinto collocato sull’altare maggiore, fu eseguito dal pittore fiammingo Ernst De Schaych (Utrecht, 1567-1631) nel 1617, durante un soggiorno marchigiano che lo portò a lavorare anche in altre località della regione. Si tratta di una raffigurazione della Madonna della Cintola, che rappresenta la Madonna in trono col Bambino che consegnano le cinture, simbolo dell’ordine agostiniano, a S. Agostino e S. Monica, attorniati da figure di re e regine, papi e vescovi, in riferimento al potere temporale e spirituale. In primo piano, nell’estremità inferiore del dipinto, sono i busti di quattro santi (S. Francesco, S. Maria Maddalena, S. Giuseppe e S. Bernardino da Siena). Al di sotto della data e della firma dell’artista, sono le iniziali e lo stemma della famiglia Innocenzi di Ostra Vetere, che commissionò il dipinto in occasione della nomina a madre vicaria di una nipote monaca presso il Monastero di S. Maria Maddalena. La tela dipinta nel 1668 dal ferrarese Clemente Maioli testimonia il passaggio dell’artista nelle Marche dopo il periodo di permanenza a Roma, dove è attivo a partire dal 1634, e prima del definitivo ritorno a Ferrara nel 1671 c.a., pochi anni prima della sua morte. L’opera collocata sull’altare di sinistra rappresenta l’Assunzione della Vergine, con la Madonna trasportata in cielo da un coro di angeli dinanzi agli Apostoli raccolti in preghiera intorno al sepolcro. L’equilibrata costruzione scenica dello spazio di chiara derivazione emiliana, insieme all’attenzione per la cultura veneta (Tintoretto), sono attinte da un’opera di Annibale Carracci dal medesimo soggetto, conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna. Sull’altare di destra è collocata una tela ascrivibile all’ambito della pittura locale della seconda metà del Seicento. Rappresenta la Madonna del Carmelo, con la Vergine incoronata ed il Bambino, mentre porge lo scapolare a Simon Stock, frate inglese fondatore dell’ordine carmelitano, mai ufficialmente canonizzato ma molto venerato nella chiesa cattolica. Secondo la tradizione, lo scapolare salva dal fuoco dell’inferno colui che lo indossa. Circondano la figura del frate S. Chiara, S. Bonaventura, S. Sebastiano e S. Pietro Martire, frate domenicano che subì il martirio nella lotta contro le eresie. In basso a mezzo busto sono raffigurati altri cinque santi: S. Caterina d’Alessandria, S. Lorenzo, S. Filippo Neri, S. Nicola da Tolentino e S. Agata. Dietro l’altare principale è visibile, attraverso una grata dorata, l’organo Andrea Gennari del 1827/1828, restaurato nel 2001 e tutt’ora funzionante. L’organo alloggia al suo interno un tamburo e dei campanelli, come spesso accadeva per gli organi italiani del diciannovesimo secolo.

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